E-Waste: un rischio ancora poco considerato

Le moderne tecnologie sono parte integrante e indispensabile della vita di ognuno di noi. Personal computer, fax, stampanti, segreterie telefoniche, videoregistratori, televisori, telefonini cellulari: oggetti che facilitano e arricchiscono le nostre esistenze. Ma cosa succede quando sono vecchi e non li usiamo più? Semplice: diventano spazzatura. O più propriamente e-waste, cioè  "rifiuti elettronici" o "spazzatura tecnologica". E si tratta di una montagna di spazzatura. Si calcola che, in media, ogni cittadino europeo produce ogni anno circa 20 kg di e-waste. Cifra che nei prossimi 5 anni è destinata a crescere dal 16% al 28%. Solo in Italia, ogni anno produciamo circa 6 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, con un tasso di crescita che è circa tre volte quello dei comuni rifiuti urbani.

Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di materiali composti da sostanze pericolose, con effetti tossici e addirittura potenzialmente letali. Basti pensare, ad esempio, alle batterie dei cellulari e dei pc portatili, che contengono significative quantità di cadmio, mercurio, piombo e bario. Un comune computer casalingo è fatto di oltre 1000 materiali diversi, molti dei quali altamente tossici: clorati, brominati, metalli, acidi, plastiche, additivi plastici, materiali biologicamente attivi. Tutte sostanze che, purtroppo, nella maggior parte dei casi finiscono nelle normali discariche, vanno dispersi nell'ambiente o, peggio ancora, vengono bruciati senza precauzioni negli inceneritori, con conseguenze ancora sconosciute, ma certamente non positive, per la salute di uomini, animali e piante. Senza contare lo spreco di risorse preziose. Infatti, buona parte dei componenti elettronici sono costituiti da materiali nobili che, provenendo da risorse non rinnovabili, sarebbe bene recuperare riciclandoli. E' il caso, ad esempio, di alcuni metalli rari o pregiati, come rame, stagno, piombo, oro e argento.

Oggi, invece, solo il 5% delle apparecchiature elettroniche viene riciclato. Ma quali sono le possibili soluzioni al problema e-waste?  Innanzitutto, agire sul piano normativo. Un grosso passo avanti in questo senso è stato fatto con la Direttiva Europea WEEE (Waste Electrical and Electronic Equipment) che, a partire dal 2005, imporrà criteri molto severi per lo smaltimento dell'e-waste. In particolare, la Direttiva incoraggia l'EPR, cioè l'Extend Producer Responsibility (responsabilità estesa ai produttori).

Secondo la logica EPR, i produttori sono responsabili dell'impatto che i loro prodotti, a fine vita, hanno sull'ambiente e sulla salute, e devono quindi farsi carico finanziariamente della loro corretta raccolta e del loro recupero. Di conseguenza, le aziende di elettronica hanno tutta la convenienza a sviluppare tecniche costruttive e materiali che riducono i problemi e i costi legati al recupero e allo smaltimento corretto dei beni prodotti. Le amministrazioni, dal canto loro, dovrebbero incentivare la raccolta differenziata di e-waste, a tutti gli effetti una forma di rifiuto speciale. In questo modo, si potrebbe facilitare tutto il processo di recupero e smontaggio e, soprattutto, limitare fortemente le pericolosissime dispersioni ambientali.

Tuttavia, il compito più importante spetta all'impegno di ognuno di noi. Innanzitutto, cercando di limitare la produzione individuale di e-waste, cambiando il nostro cellulare o il nostro pc solo quando è davvero indispensabile, cioè quando non funzionano più o non rispondono più alle nostre esigenze, e non solo perché non sono più "di moda".