QUALE FUTURO PER LE BALENE?

La balena è un animale prezioso. Commercialmente parlando, s'intende. E' per questo che rischia l'estinzione. Sterminati dalle baleniere per tutto l'800 e metà del ‘900, avvelenati dall'inquinamento marino, straziati dalle eliche delle navi e dalle reti da pesca "killer". I poveri cetacei non riescono a trovare un attimo di pace, eppure c'è qualcuno che insiste ad accanirsi su di loro, considerandoli non meravigliosi e intelligentissimi esseri viventi, ma miniere d'oro da sfruttare fino al limite del possibile; fino a quando, cioè, non esisteranno più.

E' questo il quadro un po' desolante che emerge dalla riunione annuale della Commissione baleniera internazionale (Iwc), che si è svolta per la prima volta in Italia, nella splendida cornice di Sorrento, dal 19 al 22 luglio scorsi. Durante i lavori della Commissione, istituita nel 1946 per conciliare la garantire la salvezza delle balene e gli interessi dell'industria della caccia, il Giappone ha riproposto con forza la necessità di abolire almeno ridimensionare fortemente la moratoria alla caccia commerciale introdotta nel 1986. Da allora è possibile catturare i cetacei solo per finalità scientifiche, anche se alcune nazioni consentono alle loro baleniere una quota molto contenuta di caccia commerciale. Ma tale situazione va contro gli interessi di quanti vorrebbero sfruttare le ricchezze offerte dal corpo delle balene: grasso, carni pregiate, ambra grigia. Materie e sostanze preziosissime per il mondo dell'industria, anche se oggi facilmente sostituibili con elementi sintetici. Il Giappone, in particolare, è sede di un fiorente mercato della carne di balena, venduta a peso d'oro a cultori delle prelibatezze gastronomiche (o a maniaci alimentari, secondo i punti di vista). Ciò che lascia perplessi, è che i nipponici capeggiano un movimento che non solo chiede la riapertura della caccia, ma osteggia anche con vigore la creazione dei cosiddetti "santuari delle balene", oasi marine dedicate ai cetacei (come quella istituita nel mar Ligure, che ospita circa 3500 esemplari di balena nel periodo estivo). Insomma, non solo si vuole riaprire la caccia alle balene, ma si reagisce anche con irritazione alla possibilità che i grandi mammiferi marini possano avere dei luoghi in cui trovare scampo. La strategia giapponese è quella di creare un "blocco" di paesi capaci di imporre con il loro peso numerico una revisione delle regole che proibiscono la caccia commerciale. Del blocco fanno parte alcuni paesi interessati al business baleniero (Islanda, Norvegia, Danimarca, ecc.), ma anche tanti paesi poveri del terzo mondo che "vendono" il loro appoggio al Giappone in cambio di contributi economici per il settore ittico.

La strategia degli ambientalisti è quella di contestare le ambizioni giapponesi parlando il loro stesso linguaggio: quello dei soldi. Ad esempio, evidenziando come una balena vale infinitamente di più da viva che da morta. Si stima che, ogni anno, siano almeno 9 milioni i turisti dediti al whalewatching, l'osservazione delle balene nel loro ambiente naturale e, nel 2003, solo in Islanda, questa forma di eco-turismo ha fruttato 16 milioni di euro. Oltretutto, mangiare carne di balena non sarebbe tanto salutare. Le carni dei cetacei risultano spesso contaminate da inquinanti letali. Ma questo non sembra essere un problema che preoccupa gli amanti della "bistecca di balena". Tanto che alcuni ristoratori giapponesi hanno chiesto di poter utilizzare anche la carne delle carogne delle balene spiaggiate. Una vera e propria aberrazione, per la morale e per la salute.